Le terapie di gruppo dalla psicoterapia individuale allo psicodramma

Dalla psicoterapia individuale al gruppo di condivisione e di sostegno psicologico

Da sempre nella storia dell’umanità l’istinto sociale umano ha portato le persone che si sentivano in difficoltà a riunirsi in gruppi cercando nell’interazione la forza ed il sostegno per superare le difficoltà del vivere.

Tuttavia il riunirsi in un gruppo con lo scopo esplicito di trovare rimedio per i propri problemi di salute fisica o psicologica è molto più recente.

Storicamente si fa risalire al prima esperienza simile a quella messa in atto nel 1905 da Joseph Prattn nel Massachusetts General Hospital di Boston, dove avviò un gruppo di educazione/discussione per 15 pazienti ammalati di tubercolosi.

Il gruppo era finalizzato a fornire supporto psicologico, con un intento prevalentemente educativo e promuoveva l'”impegno personale reciproco” tra i vari membri.

In senso generale la psicoterapia vera e propria si fa risalire alla concettualizzazione di  Sigmund Freud, che con la sua medica ne mutuò il modello dalla classica relazione medico-paziente.

Il grande padre della psicoanalisi dunque fisso con rigidità un modello di lavoro che si doveva svolgere in un contesto di coppia (il setting), secondo regole ben precise e con due ruoli fissi e ben definiti in cui l’uno: il “terapeuta”, si occupava di procurare la guarigione dell’altro: “il paziente”.

La terapia di gruppo

Più avanti le prime esperienze di psicoterapia di gruppo, sempre ancora direttamente ispirate alla psicoanalisi, si ebbero essenzialmente per ragioni pratiche ed economiche.

Riunendo insieme più pazienti li si poteva cos’ trattare contemporaneamente, consentendo così l’applicazione della psicoanalisi, una terapia sempre onerosa in termini economici e di tempo richiesto, presso grandi strutture mediche che accoglievano persone affette da varie patologie psichiatriche.

Tuttavia ben presto la terapia svolta in gruppo dimostrò di avere caratteristiche peculiari rispetto a quella individuale, tali da farne molto di più che una psicoterapia individuale svolta alla presenza di altre persone.

Fu immediatamente chiaro come nel gruppo prendessero vita dinamiche e fenomeni particolari, la relazione terapeutica si allargava a comprendere le relazioni incrociate fra tutti i membri, per diversi aspetti il ruolo del terapeuta perdeva parte della sua centralità, almeno nel senso che aveva precedentemente.

Si può dire anzi che il gruppo stesso, come entità sociale autonoma per molti versi, ereditasse la titolarità della terapia stessa.

A partire da questa importante novità i terapeuti di gruppo incominciarono a studiare in maniera più analitica le caratteristiche specifiche dei gruppi terapeutici notando come questi favoriscano lo sviluppo di relazioni fra i partecipanti, la nascita di legami identificativi, la creazione di una cultura comune e la possibilità di mettere in moto potenti meccanismi trasformativi.

Più volte è stato sottolineato dai più illustri clinici e studiosi come il gruppo non sia la semplice somma degli individui che lo compongono, un semplice “contenitore” di persone che intendono curarsi sfruttando un contesto e risorse terapeutiche comuni.

Il lavoro in gruppo è piuttosto più propriamente un lavoro del gruppo, che si trova ad essere contemporaneamente sia un intero o un contenitore-contesto, sia un mezzo per ottenere uno scopo che o un’esperienza significativa di per sé.

Caratteristiche dei gruppi terapeutici

I gruppi terapeutici possiedono così capacità curative che vanno ben oltre la creazione di un contesto in cui superare il senso di alienazione, dell’isolamento sociale ed in cui trovare la possibilità di condividere il proprio disagio con altre persone.

In maniera più profonda e specifica assumono il significato di vere e proprie esperienze trasformative in cui i partecipanti sperimentano comportamenti correttivi rispetto a vecchi atteggiamenti disfunzionali appresi e modalità di funzionamento mentale compensative e suppletive rispetto a bisogni emotivi profondi che sono stati frustrati nella loro vita precedente.

In particolare, secondo Yalom (1), i fattori terapeutici generali validi per tutti gli approcci gruppali sono:

universalità: il paziente trae beneficio dal rendersi conto che tutti i suoi sintomi possano essere condivisi;

acquisizione di nuove informazioni: la pluralità che caratterizza il gruppo è fonte, inevitabilmente, di notizie e chiarimenti sui problemi condivisi;

instillazione di speranza: il farsi coraggio vicendevolmente mobilità l’ottimismo tra i partecipanti e la sensazione di potercela fare;

cambiamento del copione familiare: il gruppo consente la messa in scena, attraverso un delicato gioco di transfert e controtransfert, di vecchi drammi familiari, che con la presenza esperta del terapeuta possono essere rivisitati e cambiati al fine di raggiungere migliori livelli di benessere;

altruismo: i partecipanti al gruppo sperimentano l’importante vissuto di essere non solo bisognosi ma anche competenti e in grado di soddisfare richieste altrui, attraverso le loro indicazioni o suggerimenti;

sviluppo di tecniche di socializzazione: il gruppo svolge una fondamentale funzione di specchio. I partecipanti attraverso feedback e risposte aiutano e sono aiutati nell’acquisizione di una più accurata autopercezione. La nuova consapevolezza è alla base per un successivo cambiamento di interazione sociale;

comportamento imitativo: ogni paziente ha la possibilità di osservare e prendere a modello gli aspetti positivi del comportamento degli altri partecipanti e del terapeuta;

apprendimento interpersonale: ogni partecipante, per migliorare la propria patologia, deve attraversare diversi stadi. In primo luogo è indispensabile rendersi conto delle proprie modalità di interazione sociale e delle conseguenze che esse hanno sugli altri e su se stesso, quindi, deve modificare tali modalità, attraverso la sperimentazione, nel gruppo, di nuovi comportamenti e infine deve verificare se essi risultano effettivamente più adeguati e rispettosi per tutti;

coesione di gruppo: i partecipanti sperimentano la sensazione che qualcosa di importante sta per avvenire all’interno di un contesto protetto e accogliente. La coesione di gruppo altro non è che la percezione dell’esistenza di un setting o un contenitore le cui “pareti” sono formate dai vari membri e dalla loro voglia di far parte del gruppo;

catarsi: il contesto gruppale sviluppa la potenzialità liberatoria attraverso l’immedesimazione nell’altro e nelle sue problematiche;

fattori esistenziali: non costituiscono di per se un fattore di cambiamento ma una consapevolezza necessaria affinché gli eventi avversi della vita possano essere vissuti con meno drammaticità. Essi comprendono la responsabilità, la solitudine, il senso dell’esistenza, la morte.

Applicazioni dei gruppi terapeutici

Attualmente si riconoscono tre tipi di gruppi psicologi distinti per lo scopo cui sono destinati a rispondere in uno specifico contesto di cura:

Monosintomatici: si tratta di gruppi spesso attivati in contesti di cura per diverse specifiche problematiche sanitarie di medicina generale (es. pazienti diabetici, cardiopatici) o di salute mentale (es. gruppi di elaborazione del lutto, per pazienti affetti da dipendenze patologiche, ecc.) o sostengo in condizioni particolari (es. fratelli di persone disabili, genitori di figli autistici, ecc.).

Per problematiche generali: hanno uno scopo sia supportivo che informativo-educativo e sono dedicati a offrire occasioni e metodologie per accrescimento delle capacità di affrontare con resilienza, efficacia e creatività vari aspetti dell’esperienza dei partecipanti.

Esempi di tali gruppi sono quelli destinati al sostegno dell’autostima, della gestione dello stress, del controllo della rabbia, del miglioramento delle performance in vari campi dal lavoro, allo studio ed alla carriera sportiva.

Spesso questi gruppi si avvalgono di un modo di lavorare con tecniche espressive per raggiungere lo scopo prefissato (es. arteterapia, musicoterapia, danza-terapia, movimento creativo).

Questi due tipi di gruppi hanno essenzialmente come scopo offrire un supporto nell’adattamento e nella gestione delle difficoltà legate condizioni più o meno specifiche, tali da potersi giovare dell’apprendimento di modalità di azione adeguate, di un cambiamento di stile di vita o del potenziamento di competenze personali, così da pervenire al superamento o il miglioramento degli aspetti sintomatici o comunque problematici a cui il gruppo è dedicato.

Analitici: sono gruppi con carattere interpretativo e consapevolizzante finalizzati essenzialmente al cambiamento ed alla crescita personale.

Partendo dunque dall’espressione di contenuti personali quali esperienze attuali, ricordi passati o sogni, operano principalmente nell’area intrapsichica attraverso la consapevolezza premessa dalla narrazione che la persona compie e dal confronto della propria esperienza con quella degli altri membri del gruppo da cui si ricevono rimandi volti a presentare modi diversi di significare e punteggiare (2) il proprio modo di decodificare, agire ed esperire la vita.

Da tale rielaborazione personale di contenuti intrapsichici si assiste poi a cascata a trasformazioni anche a livello interpersonale, sintomatico e nelle modalità di comunicare e relazionarsi.

Tra questa tipologia di gruppi troviamo molti gruppi ispirati alle varie evoluzioni ed elaborazioni di derivazione psicoanalitica e i gruppi umanistici-esistenziali.

Le caratteristiche proprie del gruppo terapeutico offrono speciali opportunità di poter lavorare con pazienti tali da necessitare un forte contenimento emotivo per potere esprimere contenuti emotivi disturbanti, con tendenze più all’acting-out che alla verbalizzazione, con eccessivi problemi con le figure d’Autorità-genitoriali, con un insufficiente senso di identità, con difficoltà ad identificare ed esprimere le emozioni ed i sentimenti o che tendono ad interiorizzarli in modo autodistruttivo.

Lo psicodramma

Oggi molte metodologie di lavoro in gruppo a scopo terapeutico prevedono un espressività più legata al corpo che alla parola.

Molti come accennato prima si avvalgono di modalità espressive come il movimento o vari tipi di produzioni creative (pittura, musica, canto, danza, ecc.) che vendono considerate materiale analitico utile su cui sviluppare un’interpretazione delle dinamiche affettive interne.

Un posto particolare ed originale è rappresentato dallo psicodramma.

Questo prevede un impegno dei partecipanti a drammatizzare il materiale portato per l’analisi realizzando un processo di rielaborazione, mentalizzazione (3) e poi verbalizzazione e confronto da parte del protagonista, da parte degli altri partecipanti e contemporaneamente da parte del gruppo intero in quanto organismo sociale autonomo.

Dal momento in cui ai partecipanti non è richiesto un impegno diretto ad esprimere un contenuto verbale strutturato, mentre viene offerta loro la possibilità di coinvolgersi liberamente nel ‘gioco’ collettivo della dinamica del gruppo (Moreno soleva dire che “nello psicodramma si è assolutamente liberi di non essere spontanei”), si tratta di un modo di lavorare particolarmente utile con persone che faticano a superare le loro difese emotive, a vincere le difficoltà di comunicazione verbale, a integrare nella coscienza aspetti e parti dissociate ed alienate della propria personalità, come persone traumatizzate, affette da dipendenze patologiche, con personalità borderline, con problemi di alessitimia (4), ecc.

Questo modo di svolgere un lavoro psicologico si fa risalire direttamente alle esperienze di Jacob Levi Moreno (Bucarest, 1889 – Beacon, 1974).

Psichiatra, psicologo, filosofo, sociologo, padre riconosciuto dello Psicodramma e degli Action Methods, Moreno introdusse un modello inter-personale della personalità contrapposto a quello intra-personale della psicologia dinamica classica, affiancando al concetto freudiano di ‘transfert’ quello di ‘tele‘ inteso come empatia reciproca tra più soggetti legati da un rapporto significativo.

Di fatto l’interesse per le persone ed i loro problemi nella prospettiva di Moreno assume un carattere nettamente sociologico oltre che psicologico e la sua riflessione è essenzialmente indirizzata alla relazione spesso difficile dell’individuo con la società in cui vive.

A Vienna il 1° aprile 1921 Moreno tenne la sua prima seduta-dimostrazione pubblica di quello che fu puoi definito sociodramma, realizzando un inedito Teatro della spontaneità.

In seguito tale metodo basato su alcuni principi originali tra cui quali l’inversione di ruolo (lo scambio di ruoli nella scena), il soliloquio (il monologo del personaggio che dà voce al suo vissuto interiore), il doppiaggio (il soliloquio di un personaggio intrepretato da un altro membro del gruppo), ecc. venne utilizzato con gruppi stabili finendo un significato personale per i partecipanti e in tal senso venne più specificatamente definito psicodramma.

La storia dello psicodramma è stata lunga e tutt’ora in evoluzione: da Moreno, che sembra sia stato influenzato anche dalla lettura di Pirandello, con i suoi interessi sociologici e per le dinamiche interindividuali si è arrivati a Yablonsky che ha inteso lo psicodramma soprattutto quale una via di liberazione dell’individualità dai condizionamenti culturali e sociali.

Successivamente un gruppo di gruppoanalisti lo adottarono come uno strumento terapeutico utile a svolgere il lavoro analitico, fino al giorno d’oggi in cui lo psicodramma è diventato una metodologia ed un setting utile a molti scopi: per realizzare un cambiamento terapeutico, per favorire processi  educativi, a scopo formativo professionali, come modo utile di supervisionare il lavoro di operatori della salute o impegnati in relazioni pedagogiche o assistenziali.

La pandemia che si è verificata in tutto il mondo a partire dal gennaio-febbraio del 2020, costringendo molti paesi a indire un lockdown generale, ha messo immediatamente in crisi la possibilità di proseguire le attività dei gruppi di psicodramma in presenza e ha portato in diverse parti del modo a mettere in atto esperimenti quanto mi interessanti di sedute di gruppo tramite piattaforme di videochat.

Da queste esperienze ha preso il via una fase di ricerca e riflessione sulle specificità che assume in questa forma lo psicodramma, che si sta rivelando quanto mai promettente di risultati teorici e sviluppi metodologici.


Note:

(1) Yalom I.D. – “Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo”, 1970

(2) Watzlawick Paul, Beavin J. H., Jackson D. D ne “Pragmatica della comunicazione umana”, in analogia con la disposizione della punteggiatura nello scrivere, definiscono con il termine ‘punteggiare’ l’azione inconsapevole con cui vengono formulate versioni della realtà percepita, che si creano e modificano durante l’interazione tra più individui. Queste diverse interpretazioni dipendono dal modo con cui si attribuisce un significato la sequenza degli eventi, ossia dal modo in cui ognuno tende a credere che l’unica rappresentazione possibile degli eventi sia la propria  e che di fatto coincida con la realtà fattuale tout court.

(3) con mentalizzazione si intende la possibilità e la capacità di riflettere in maniere consapevole sulle natura delle emozioni, sul significato dei sentimenti e sul valore dei comportamenti che la persona mette in essere.

(4) alessitimia: (dal greco a- «mancanza», lexis «parola» e thymos «emozione», dunque: «mancanza di parole per [esprimere] emozioni») è un costrutto psicologico che descrive una condizione di ridotta consapevolezza emotiva, che comporta l’incapacità sia di riconoscere e sia di comunicare il contenuto delle proprie e delle altrui emozioni.