L’Aikido e l’arte della Psicoterapia

In un atricolo precedente (1) ho citato il grande valore educativo riconosciuto della pratica delle arti marziali.

Ora si può accennare al valore specifico che la pratica di una specifica arte marziale di origine giapponese, l’Aikido, può avere nella formazione in psicoterapia, salvo la possibilità estendere la riflessione a tutte quelle attività in cui la relazione umana è in primo piano ed in particolare in un contesto di aiuto o di consulenza.

Perchè proprio l’Aikido?

Perché nelle intenzioni espresse dal Fondatore Morihei Ueshiba (植芝 盛平, 14/12/1883 – 26/04/1969), specie nell’ultima fase di elaborazione dell’impianto concettuale dell’arte, la finalità dell’Aikido trascende l’aspetto puramente marziale per ispirare le persone ad armonizzare il loro atteggiamento nel porsi in relazione con gli altri (l’avversario ideale), con il mondo ed in definitiva con se stessi.

Ciò avviene attraverso la pratica ripetuta e regolare di alcuni principi cardine volti non tanto a contrastare l’azione ostile proveniente dall’esterno, quanto a entrare in una relazione profonda con colui con cui ci si confronta, fino a realizzare un nuovo stato armonico nel momento in cui l’attacco viene, per così dire, “assorbito” nell’equilibrio relazionale realizzato.

A chi si forma nella capacità di instaurare relazioni atte a promuovere nuovi e più complessivi stati di armonia emotiva e relazionale (salute psicologica e sociale), la formulazione di tali principi non può che apparire massimamente suggestiva e ispirare una riflessione profonda sulla natura stessa dell’incontro dello psicoterapeuta e del suo cliente.

Principi simili, un diverso campo di applicazione

Del resto l’alba stessa delle moderne forme di psicoterapia è strettamente connessa a questo tema attraverso l’elaborazione di Sigmund Freud , nella misura in cui il metodo psicanalitico, accanto all’interpretazione, ha fra i suoi elementi più originari e specifici la relazione terapeutica e l’azione indirizzata alla risoluzione delle resistenze e dei conflitti che inconsapevolmente agiscono nel cliente, talvolta anche nel terapeuta, opponendosi al corretto sviluppo della terapia.

Certamente non avrebbe senso pretendere di prescrivere la pratica dell’Aikido quale elemento necessario nella formazione dello psicoterapeuta, quanto suggerire la possibilità di trarre in essa un’ispirazione profonda che può portare il terapeuta a sperimentare e vivere nell’azione corporea quei principi che fanno parte del suo bagaglio di capacità relazionali.

Del resto non sono pochi gli autori che hanno colto tali suggestioni tra cui citerò, con un mero intento esemplificativo, solo Gianmarco Olivè, che nel suo “Aikido l’arte della relazione” (2007 – Adea edizioni, Cremona) focalizza sugli aspetti della relazione il valore esperienziale di tale pratica marziale; Charles Hackney, professore universitario di psicologia e marzialista che tratta propriamente del significato psicologico della pratica marziale (“Le virtù guerriere – Arti marziali e psicologia“, 2010 – Salani Editore, Milano) e Giovanni Madonna che delineando una visione della cura psicologia attraverso l’opera di Gregory Bateson (2), riconosce esplicitamente l’utilità di frequentare arti e pratiche aventi il potere di predisporre i terapeuti ad assumere un atteggiamento adeguatamente aperto e fluido con cui affrontare i problemi dei pazienti, e fra tali attività ‘fluidificanti’ cita: “… alcune arti marziali come il tiro con l’arco, il kendo, il tai chi, il judo e l’aikido”.


(1) “Le arti marziali nella società attuale

(2) “La psicoterapia attraverso Bateson. Verso un’estetica della cura”, Giovanni Madonna (2003), Bollati Boringhieri

[foto: 植芝盛平 Ueshiba Morihei (Tanabe, 14 dicembre 1883 – Iwama, 26 aprile 1969)]